(Spicchi di basket di Felice Rizzo il7 Magazine) All’apparenza sembra un comunissimo genitore che ha accompagnato il proprio figliolo in palestra ed attende con pazienza la fine della sua lezione di minibasket; in realtà è un gigante di 45 anni appena compiuti che con la palla a spicchi ha avuto un amore ultratrentennale e che – ora che ha deciso di non calcare più i parquet della Puglia (almeno così dice lui!) – si gode appieno le prestazioni cestistiche del suo campioncino di 9 anni. E’ qui, sulle gradinate di una palestra cittadina, che incontro Alessandro Risolo, fresco reduce “della decisione più difficile della mia carriera sportiva” come sottolinea con un sorriso un po’ forzato. La prima domanda è, quindi, persino scontata: “come ti senti senza il basket giocato?”. “Eh, ti risponderò ad agosto quando, tradizionalmente, iniziavo la preparazione atletica con i miei compagni; ho appena concluso la fase agonistica, ma continuo ad allenarmi per divertimento e per il benessere fisico. Per il momento mi godo appieno la famiglia e, come vedi, seguo con interesse i progressi di Paolo che spero proseguirà la tradizione di famiglia, ma senza forzature da parte mia, dovrà essere solo lui a scegliere la sua strada”.
E’ stata lunga, lunghissima, anche la strada cestistica di Sandro: dai primi passi nel minibasket dell’allora Azzurra Brindisi, con coach Piero Labate, alle giovanili nella Virtus Mesagne, fino alla convocazione in prima squadra (“coach Antonio Scoditti mi convocò a soli 15 anni e feci i primi punti a Nardò”). Poi esperienze varie, in giro per la regione: Cestistica Ostuni, U.S.San Pietro, Eagles Brindisi, Mens Sana Mesagne, ancora U.S.San Pietro, Assi Brindisi, prima di far ritorno alla Mens Sana con la quale la scorsa settimana ha voluto chiudere la carriera.
Emozioni tante: ma “il ricordo più bello è legato sicuramente alla promozione in Serie B con la Virtus Mesagne del presidente Angelo Guarini, ero giovane ma fu un’esperienza bellissima”. Il momento più amaro? “Beh, recente, quello delle scarpe al classico chiodo; ci pensavo già da un paio d’anni, ma poi la condizione c’era ancora, perché abbandonare uno sport che è stato la mia vita?….. Sai – mi dice con orgoglio, ma quasi a cambiare un discorso che si stava facendo toccante – tutte queste maglie che ho indossato, tutti i compagni che ho conosciuto, i tifosi che mi hanno sempre incitato, insomma questa lunga vicinanza con gente meravigliosa mi ha insegnato ad essere un uomo migliore anche nel lavoro, nel contatto diretto con la gente: un altro “grazie” che devo al basket”.
Un lavoro, una vita professionale, che lo impegna notevolmente e che, forse, gli impedirà di proseguire una sua esperienza sui campi, magari da allenatore: “mi piacerebbe, ho avuto la fortuna di avere tanti bravi maestri – dice – su tutti Putignano, Rubino, Bray, che mi hanno insegnato ad amare questo sport facendo tanti sacrifici e anche quando eri giù loro ti spronavano a reagire; ma anche Amatori, Capodieci, De Vita, Distante, Santini (li cita in ordine alfabetico, quasi a non voler fare un torto a nessuno, n.d.a.) hanno dato del loro e gliene sono grato”.
Aneddoti curiosi ne avrebbe a bizzeffe, ma uno in particolare me lo propone con commovente affetto verso un compagno di squadra che non c’è più: “semifinale playoff Trinitapoli-Mens Sana, gara importantissima perché in casa eravamo fortissimi e vincere gara 1 in trasferta ci avrebbe spalancato le porte della finale. Punteggio 53-50 per loro, ma all’ultimo secondo fallo su di me in un tentativo di tiro dai 6,75: tre tiri liberi. Realizzo il primo, realizzo il secondo, il terzo sul ferro; gara finita ed io,con i nervi a fior di pelle, a piangere per lo sconforto. Mi si avvicina Fabiano Ventruto, con quel suo sorriso inimitabile e… “ca tui, tre su tre vulivi faci?”. Non sapevo se ridere o prenderlo a schiaffi, ma lui era così, sempre pronto a sdrammatizzare ogni situazione. Manca molto a tutti”.
La lezione di minibasket di Paolo è finita; a papà Sandro non resta che coprirlo per bene prima di riportarlo a casa ed a me l’ultima domanda: “Sandro, ho rubato dal tuo profilo facebook una bellissima foto con tuo figlio, che padre sei?”. Non indugia neanche un attimo, come quando catturava rimbalzi in attacco e li trasformava in due punti sicuri: “Credo di essere un bravo papà e cerco di insegnare le cose giuste, ma la strada è ancora tanto lunga e lui dovrà scegliersi i compagni giusti per vincere le partite della vita. Proprio come nel basket”.
Allora, arrivederci ad agosto Sandro? Magari ci ripensi….
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