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(di Mimma Leone) Prima che qualcuno possa dire che il mio resoconto sanremese sia troppo mieloso e luccicante, devo almeno precisare che andare a vedere il Festival di Sanremo da vicino e spiarci dietro le quinte è stato sempre il mio sogno a occhi aperti. Non a caso, dal 1990 non ho perso una sola edizione. Considerando le aspettative, dietro la gran fortuna di realizzare un sogno si nasconde sempre il rischio di inciampare nella più cocente delle delusioni. E invece no. Ammetto che forse non è più il Festival dei bei tempi, dal fascino che adesso chiamiamo retrò, quando i cantanti erano divi quasi irraggiungibili, che non potevi ancora intercettare facilmente con un tweet; quando le canzoni non avevano ancora le scadenze imposte dal mercato. E non è nemmeno il Festival di Baudo e delle due vallette, una bionda e una mora, quando il sipario si alzava a fine febbraio e nonostante le temperature fossero ancora piuttosto basse, su quel palco si annunciava una primavera in anticipo trascinata da una cascata di fiori, colori e lustrini, con il carnevale a fare da volano. Se è vero che tutto cambia, figuriamoci se proprio un Festival canoro possa esimersi da questa spietata e sacrosanta legge del divenire. Eppure qualcosa rimane immutato. Intanto, arrivi a Sanremo e ti ritrovi in una città in festa, una sfilata di strade in preda a un entusiasmo che può sembrare eccessivo. Nel racconto della mia breve e intensa trasferta, sarò sintetica e seguirò rigorosamente l’ordine sparso delle armonie imperfette. Perché Sanremo è questo: è uno slancio di vitalità, un’evasione irrinunciabile. Ed è anche un’esagerazione e uno spreco. E in definitiva è un podio di poche vittorie e una platea di tante sconfitte. Una contraddizione.
L’Ariston è un teatro piccolo, con un prospetto di pochi metri. Casa Sanremo è una realtà parallela all’Ariston che offre oltre 350 occasioni di intrattenimento in una superficie di 4500 mq. Quest’anno festeggia i suoi dieci anni con l’inaugurazione di Villa Ormon, una splendida dimora rinascimentale che fa da cornice ad eventi esclusivi. Molto interessante il format creato da un’Infaticabile Red Ronnie che ha creato un sorprendente Festival nel Festival; insieme a Fausto Mesolella, chitarrista degli Avion Travel e compositore sopraffino, ha incontrato e selezionato giovani talenti nella roulotte “FIAT Music”, posizionata proprio all’ingresso del Palafiori. Gli stessi si sono esibiti nell’esclusiva Sala Mango, location di energie fresche e vibranti, promesse di una musica ancora in evoluzione e per questo così vera, incontaminata, genuina. Dei Nameless e di Kenny Ray, per esempio, sono rimasta particolarmente impressionata, e mi piacerebbe molto sentir parlare di loro in un futuro prossimo.
La musica incrocia la scrittura, inevitabilmente. E grazie a questa fortunato connubio ho potuto rivalutare Mario Luzzato Fegiz, che ha presentato il libro “Troppe zeta nel cognome”, in cui rivela una buona dose di umiltà raccontando vizi e virtù che caratterizzano il difficile rapporto fra artista e critico. Per lui che ne ha stroncati tanti, a questo punto della sua carriera probabilmente è anche un atto dovuto, una sorta di coming out che me lo rende più simpatico. Anche il direttore d’orchestra Beppe Vessicchio ha presentato, il giorno dopo, il suo saggio “La musica fa crescere i pomodori”, un trattato di saggezza e un omaggio alla perfezione della natura. Divertito e ironico di fronte all’attenzione dei social nei suoi confronti, ha posato con molta naturalezza immortalandosi con la scritta #uscitevessicchio ben in vista. Gli showcase dei cantanti in gara sono stati una chicca favolosa che segna un altro punto a favore di Casa Sanremo: un’atmosfera intima e lontana dall’ansia da prestazione della gara, uno spettacolo libero dai tempi televisivi imposti, una goduria sonora.
Bello anche quello che accadeva nella Sala Optima Theatre, nello spazio di “W Sanremo con Red”, dove il giornalista e critico musicale ha coinvolto i presenti in un dibattito molto vivo sul Festival, con incursioni artistiche e musicali di ospiti, amici e protagonisti della kermesse. ( degna di nota la partecipazione di Elio Cipri, storico produttore discografico ed esponente di spicco dell’organigramma di Casa Sanremo) E’ qui che ho assistito allo sfogo di Nesli, convinto che i giornalisti avessero architettato una congiura contro di lui che avrebbe poi comportato la sua esclusione, e ovviamente quella di Alice Paba, che ha duettato con lui. Credo invece che la sua canzone non fosse semplicemente all’altezza, né di molte altre sue cose, né delle potenzialità vocali di Alice. Succede, come è successo a Chiara, di portare il pezzo sbagliato. Raige lascia fare alle radio; nonostante l’esclusione, sia lui che Giulia Luzi non hanno mai perso il sorriso, anzi. L’esibizione in chiave acustica del brano eliminato ha strappato molti applausi, rivelando un’inattesa venatura soul. Chissà che non sia una nuova chiave di lettura e uno spunto importante per l’evoluzione di un percorso musicale che, effettivamente, è ancora agli inizi. Anche se alla fine le posizioni di classifica sono sempre state relative, l’eliminazione di un Big viene spesso vissuta come un’umiliazione. Albano per esempio non l’ha presa affatto bene, come saprete. Quando Loredana lo ha svegliato per dirgli che non era in finale, ha pensato a un brutto scherzo.
Poi ci sono quelli che sul podio non avrebbero affatto sfigurato, come Paola Turci, che ha fatto un ottimo Festival e per la quale ho spudoratamente tifato. E quelli che stanno un po’ nel mezzo, come Fabrizio Moro, o quelli che sono finiti troppo in là, come Marco Masini. E’ giusto poi spendere qualche parola su chi su quel palco non ci è arrivato: La Rua, band nu-folk reduce da una felice partecipazione ad Amici, è riuscita a superare tutte le selezioni per accedere a Sanremo Giovani tranne l’ultima. Sembra che però il gruppo abbia convinto tanto gli addetti ai lavori quanto lo stesso Carlo Conti che proprio quest’ultimo ha proposto loro un’altra importante occasione di cui si definiranno presto i dettagli. Confesso che non li conoscevo, anche se il volto di Daniele, il loro frontman, mi diceva qualcosa. Indubbiamente sono stati loro la presenza artistica più mediatica e costante fuori gara.
Fiorella Mannoia e Michele Bravi sono invece stati i più votati, almeno dalla giuria degli esperti, con Bravi che nel rush finale ha visto ‘soffiarsi il posto’ da Ermal Meta e dalla stessa Turci. Anche per la demoscopica, Mannoia era in testa. Ma il televoto ha incoronato Gabbani, e non ci sono scuse. Canzone ruffiana, dicono, ci s’inventa un balletto e si fa travestire da scimmia un ballerino. Molta scena insomma, poca sostanza; inutile e alla stregua di un tormentone estivo. Però anche Francesco Salvi anni fa portò “Esatto”, e non andò affatto bene. E pure Tommaso Pini quest’anno aveva tanta e simile scenografia: eliminato.
La verità è che vogliamo sorridere, ma anche pensare. La verità è che Luca Chiaravalli è un autore e un arrangiatore importante che mette d’accordo pubblico e critica. La verità è che Gabbani è un cantante poco sanremese di cui Sanremo aveva bisogno, e verosimilmente anche la musica italiana.
Intanto, fra le polemiche legate al cachet di Conti e il tentativo di boicottaggio che si è scontrato con uno share del 58,4%, si pensa già all’anno prossimo, perché Sanremo non si ferma mai. Per la conduzione si è fatto diverse volte il nome di Bonolis, ma prende corpo l’ipotesi Giletti. Poi fra qualche mese partirà il toto cantanti, e vedrete che un anno passerà in fretta. Purtroppo o per fortuna?
Il Festival Sanremo come un’armonia imperfetta
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