Ieri notte è scomparso il prof. Luigi Argentieri, docente in pensione. Gino lo abbiamo conosciuto molto da vicino nelle battaglie politiche e culturali che ha fatto negli ultimi 40 anni. Socialista tutto d’un pezzo, è stato più volte amministratore di questa città impegnandosi sempre per la comunità. Ultimamente si era avvicinato al Sel del quale era diventato dirigente. Per anni è stato punto di riferimento del liceo scientifico di Mesagne dove ha insegnato storia e filosofia. Profondo conoscitore della storia locale, aveva scritto per Burgo editore nel 1997, “Messe Soggetto di un’altra storia”. Ultimamente aveva presentato “MESSAPIA o della città ideale”.
Di seguito riportiamo un ricordo dell’assessore alla Cultura, Maria De Guido.
Al Professore Argentieri con profonda gratitudine.
Spesso non sono le emozioni a caldo a ravvivare in modo attendibile i ricordi e tuttavia su alcune persone ne possediamo di talmente belli da non nutrire il timore di ricordarli male e inutilmente.
Luigi Argentieri, per tutti “Gino”, è stato docente di liceo per non so quanti anni, in molti lo ricordano come docente di letteratura italiana. A quelli che della mia generazione hanno frequentato il Liceo a Mesagne ha insegnato storia e filosofia; per dirla tutta, nel mio caso specifico ha insegnato più storia che filosofia. Troppo “astratta” la seconda, utile da adattare alla mia discreta brama di lettura della contemporaneità la prima. Avevo scoperto la scorciatoia di preparare le interrogazioni di filosofia, invece, direttamente dai suoi preziosi appunti e dalle sintesi del Moravia, testo allora in adozione al liceo quando ancora si chiamava “Francesco Muscogiuri” ed aveva sede nell’immobile molto carmelitano di qualche anno fa. Lo facevamo un po’ tutti, non senza lagnarci con orgoglio di quanto le sintesi fossero più complicate dei capitoli per esteso e non senza ribadire, con un pizzico di vanità, che si trattasse di un testo adottato nelle università. Impietose le interrogazioni, anche comodamente dal posto; la verità è che le domande raramente erano semplici e per chi sperava di spuntare la sufficienza semplicemente ripetendo le pagine da studiare per il giorno prima, diventava spesso impresa ardua finire l’interrogazione senza sfoggiare lunghi mutismi. “Pisani Pisani, i lunghi silenzi di Pisani” era facile sentirgli dire mentre abbozzava un lungo sorriso sospirato. Ecco perché le mie interrogazioni erano, come dire, “dinamiche”; la parte in cui dovevo azzardare di significato e rielaborazione era il mio forte. Poche notizie, ben incamerate, da elaborare con curata abilità di esposizione e condite da qualche pagina di critica, magari di qualche critico “insolito” che aveva scritto qualche rigo che in pochi avevano avuto la curiosità di leggere. A 16, forse 17 anni, ricordo il suo sguardo disperato e al contempo ironico quando alla domanda, ad una delle più studiose della classe, sul perché una fazione venisse indicata come “rossa” la risposta compita e saccente fu che era la parte che aveva riportato più ferite. Non avevo letto molto della questione ma intuivo per certo che le ragioni potevano essere solo di natura politica e glielo dissi, conquistando il suo sguardo compiaciuto. Per questo alle sue lezioni, alle sue interrogazioni, ci divertivamo entrambi. Lui sapeva che io non avevo studiato troppo e io era certa che non mi avrebbe fatto richieste banali, del tipo riportare per intero le lezioni ripetute con la stessa scansione che ne faceva il libro di testo. Mi divertiva sentirgli dire sorridendo: “Adesso interroghiamo Maria che qualcosa ce la dice sempre”. Fu il mio commissario agli esami di stato quando il componente di commissione cosiddetto “interno” era uno solo; passò agli annali dei ricordi della mia classe perché non condusse nessuna battaglia per far attribuire a nessuno di noi nemmeno un punto in più rispetto al voto meritato. Quell’anno ci fu addirittura un bocciato, pochi voti massimi e tanti risicati: qualcuno gli giurò odio e rabbia, i più non si sorpresero di tanto rigore. La verità è che non nutriva alcuna preferenza particolare che non fosse per il sapere intelligente e la freschezza della mente.
Ho avuto la fortuna di ritrovarlo dopo, io agli inizi di una sorta di percorso politico, lui socialista orgoglioso della sua storia ma anche del suo lavoro e delle sue ricerche infaticabili. “Perché stare su questa nave di matti mi piace da morire” mi aveva detto una volta riferito al mondo della scuola e dell’insegnamento. Era antifascista per formazione e uomo libero per natura. “Guarda Marì che l’antifascismo in Italia non lo hanno fatto solo i comunisti, pensaci bene”, mi disse ridendo dopo aver appreso del mio tesseramento al Partito di Rifondazione Comunista. Uomo perbene, coerente e rispettoso quanto appassionato e convinto del suo argomentare.
A lui il mio affettuoso saluto, per essere stato uomo di cultura e sensibile educatore, generoso esempio di amministratore e di dirigente politico, innamorato dei giovani, dei talenti e delle infinite potenzialità umane. Maria De Guido