(di Giancarlo Sacrestano da il 7Magazine)
Incontro il dott. Giuseppe Pasqualone, direttore della Asl brindisina, nel suo ufficio di Via Napoli. Da lì, la vista è mozzafiato. Le barche ed i natanti da diporto fraseggiano con le dirimpettaie navi della Marina Militare ed il sole di una calda giornata d’estate, contribuisce a dare a Brindisi l’immagine di città bella che scoppia di salute, una città d’amare, incondizionatamente. In questa estate torrida, ho chiesto un’intervista al direttore Pasqualone, che gentilmente me la concede, ritagliando il nostro incontro tra un tavolo programmatico ed un suo appuntamento presso l’ospedale Perrino. La ragione dell’incontro è avere contezza della situazione della sanità brindisina, dopo aver appreso delle non confortanti condizioni di salute della sanità pubblica nel più vasto orizzonte nazionale. È scoppiata, infatti, come se ne avessimo proprio bisogno, un’emergenza sanitaria dai contorni assai complessi, ma che si traduce per i cittadini, nel rischio, molto ravvicinato della paralisi dei Pronto soccorso degli ospedali. “Carenze straordinarie, cioè fuori dalla realtà ordinaria, di personale sanitario, principalmente medici, necessitano di interventi straordinari, molti reparti e servizi chiuderanno per mancanza del personale”.
Questa è la considerazione valida per ogni dove della nostra penisola, posta alla base della delibera che la Regione Veneto ha emanato alla vigilia di Ferragosto, aprendo all’assunzione di personale medico ancora in formazione presso le scuole di formazione, affidando loro i pazienti di Pronto soccorso, sotto la supervisione di dirigenti medici già presenti nei reparti dell’ospedale.
La delibera è divenuta immediatamente un caso di attentissima valutazione da parte degli organi professionali che hanno fatto sapere che “Analizzeremo con nostri legali la delibera per le considerazioni ulteriori più opportune, ma non è questo il problema principale, che per noi resta l’immissione di medici ancora da formare in una realtà quotidiana estremamente difficile”, ha detto il dott. Giovanni Leoni, segretario Cimo (sindacato dei medici) della Regione Veneto.
I medici di famiglia, raccolti nelle diverse sigle categoriali, hanno sottoscritto un documento in cui, tra l’altro, si legge: “La cosiddetta emergenza medici è il capitolo finale di una storia ben conosciuta e, fino a poco tempo fa, totalmente ignorata se non addirittura negata. Essere giunti a questo punto, non significa il mettere in discussione, senza le necessarie competenze accademiche riconosciute, i percorsi formativi di coloro che hanno ed avranno in mano la vita ed il benessere dei cittadini, ma il sostenere che la sola formazione sul campo in tempi ridotti sia sufficiente per le attività di un medico dell’emergenza, è pericolosissimo”.
Il 15 di agosto è una data celebre, si festeggia, si celebra, si sta al mare, invece lei ha fatto una scelta di campo: servire la sanità pubblica, da dirigente, e si è recato presso il Pronto soccorso. Qual è la situazione? “Guardi, io questa scelta l’ho fatta per due motivi, non era il desiderio di apparire in un momento particolare di festa, ma era per il desiderio di stare vicino a dei medici in grossa difficoltà perché c’è una carenza di organico paurosa – abbiamo solo 15 medici al Pronto soccorso mentre ne dovremmo avere 38, ed 8 di questi non hanno una specializzazione -. Poi, devo dire, in un momento particolare nel quale è stata sollevata una protesta verso un provvedimento del Presidente della Regione Veneto che, in una situazione di difficoltà ha voluto trovare una soluzione al problema nell’immediato. Ovviamente la posizione della Federazione Nazionale dei Medici e dei Sindacati medici di andare contro chi assume personale non specializzato è condivisibile, non mettiamo in dubbio che la loro posizione è assolutamente giusta, ma, anche se si volesse risolvere con l’aumento di numeri nelle scuole di specializzazione, il problema si risolverebbe nel futuro e non nell’immediato. La domanda che io pongo alla Federazione Nazionale Medici è “Come faremo domani?”, quindi io, quel giorno di Ferragosto, volevo essere vicino ai miei medici ed agli operatori del Pronto soccorso, che in quel momento avevano bisogno di un segnale anche piccolo ma importante per loro, e, allo stesso tempo, dare evidenza che abbiamo un problema che va risolto anche domani”.
Brindisi è un centro di eccellenza per la sanità pubblica, molte volte si nasconde quest’aspetto. Credo che siano 60mila le prestazioni di Pronto soccorso, con un personale che è al di sotto della pianta organica. Cosa ne pensa degli operatori? “Poco fa ho avuto una riunione con i radiologi, il nuovo primario mi ha fatto il punto della situazione sulle macchine, sul personale e devo dire che ci sono i cosiddetti “fedelissimi” che lavorano perché sono di Brindisi e ci tengono tanto. E vengono fatte tante di quelle prestazioni che sono delle eccellenze assolute: vengono da fuori, sono richieste, cardio-risonanze, prestazioni Pet, Tac particolari, quindi, devo dire che sono operatori che lavorano a 10 euro al giorno, lo fanno con lo spirito quasi di devozione all’azienda a cui appartengono, ma lo fanno soprattutto per le utenze. Il nuovo primario, quindi, mi ha posto il problema dei nuovi investimenti a cui ho dato subito parere favorevole e, soprattutto, al reclutamento di nuovo personale perché va supportato il personale che c’è. Oggi abbiamo tante eccellenze, abbiamo investito tantissimo, nuovi primari bravissimi, il Perrino sta lavorando tantissimo, ma anche Francavilla ed Ostuni sono delle eccellenze e, nella rete ospedaliera danno un contributo molto importante”.
La provocazione che voglio lanciarle è questa: ho la sensazione che siamo al punto di collasso della sanità. Lei ha annunciato che c’è una situazione di difficoltà da parte degli operatori. Quale sarebbe, quindi, una possibile soluzione? “La difficoltà, adesso, più assoluta è al Pronto soccorso. Sì, abbiamo una carenza di anestesisti disarmante, quindi la struttura potrebbe produrre molto di più se avessimo una dotazione di anestesisti, però produciamo di meno, questo è il problema. Ma il Pronto soccorso è un servizio di cui non possiamo fare a meno. Il Pronto soccorso adesso è in grosse, grosse difficoltà”.
Il tema della sanità è un problema per tutta la nazione, in Veneto, come diceva prima, hanno dato una soluzione che è ai limiti della norma legale. È una proposta che può essere applicata anche in Puglia? “È necessario capire qual è il male minore, se è quello di violare una norma nazionale che è giusta, a favore della tutela dell’utenza nell’avere dei professionisti specializzati, oppure chiudere un servizio. Quale delle due cose è peggiore? Perché difronte ad una mancanza assoluta di medici – perché abbiamo espletato i concorsi e sono deserti, cerchiamo delle altre discipline affini o equipollenti e non viene nessuno, facciamo concorsi nelle altre discipline e vanno via dal Pronto soccorso – un rimedio nell’immediato, va trovato”.
Quindi la palla passa, in poche parole, alla politica, agli amministratori. “Beh si, la politica deve darci una mano. In questo momento abbiamo rappresentato il problema alla Regione Puglia, non siamo l’unica Asl che ha assunto personale per il Pronto soccorso che non è specializzato e questo significa che abbiamo necessità di risolvere un problema nell’immediato perché, se dovessi avere un divieto assoluto di continuare a reclutare medici non specializzati, io penso che sarò costretto a chiudere il Pronto soccorso”.
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