Toni Matarrelli presenta la sua candidatura a sindaco ed è subito festa di popolo. È questo il dato più significativo in un frangente della Storia in cui radunare gente lontano dalle piazze (romane) a 5 stelle o dai comizi salviniani sembra un’impresa ardua. Almeno 1000 persone, stipate fuori e dentro il castello Normanno-Svevo, hanno testimoniato inusitato affetto a questo candidato un po’ atipico: vecchio di una militanza ventennale nelle istituzioni di ogni ordine e grado ma ancora clamorosamente non logoro; accentratore ai limiti dell’altrui sopportazione e comunque inclusivo; mirandoliano per capacità mnemonica eppure capace di dimenticare i torti subiti.
L’occasione, platea larghissima mentre a poche decine di metri i competitors contano le ghiande, è ghiotta per fornire le opportune risposte agli attacchi incassati nelle ultime settimane. Invece Matarrelli preferisce guardare oltre, “noi vogliamo bene alla città, i conflitti non le giovano”. Una risposta, forse la più efficace, la dà all’inizio per conto suo il campione olimpico, dirigente Coni e simbolo della Mesagne
vincente Carlo Molfetta, giunto appositamente da Roma per raccontare: “Ai primi di febbraio Toni mi aveva chiesto di candidarmi a sindaco, dopo averci riflettuto due settimane ho declinato l’invito, per me è lui la scelta più adatta, io gli farò da consulente per lo sport”. Le tre o quattro prediche di Pompeo Molfetta, che ancora si stracciano le vesti per la fine anticipata della consiliatura, dovranno trovare argomenti meno capziosi: Matarrelli non aveva programmato di fare il sindaco, anzi non intendeva affatto candidarsi.
Eppure, in questa domenica marzolina dal sole schietto, il leader della coalizione “InSintonia” sembra avere trovato la giusta misura: della motivazione (“ma solo se avrò il sostegno di tutti, soprattutto dopo le elezioni dell’impegno (“per 5 anni soltanto, preparando il necessario ricambio dell’entusiasmo (“Mesagne è la città più bella ed evoluta del territorio, dobbiamo essere orgogliosi dei talenti e dei protagonisti che sforniamo dello stile (“gli altri candidati sono degni e perbene, dal giorno dopo le elezioni tutte le intelligenze devono mettersi al servizio della comunità. Il tasto su cui batte è la risposta più o meno indiretta a chi lo accusa di aver assemblato un “minestrone” che ha per ingrediente il civismo. “Il minestrone fa bene, non piace soltanto ai bambini”, rilancia ammiccante, “e poi non sono sicuro che attribuirsi da soli una identità ideologica dia garanzie su quella identità; io ho provato a mettere insieme persone anche di diversa estrazione ideale che hanno a cuore Mesagne, 120 di loro si stanno spendendo senza risparmio per compilare il programma, per noi l’identità coincide con la città, le formule e i dogmatismi li lasciamo ad altri”.
Il finale è quasi scontato, un fiume colorato e interclassista di gente che non sembrerebbe tirata al guinzaglio o intimidita (qualche impudico avversario si è spinto anche a questo), si mette pazientemente in fila per baciarlo, abbracciarlo, congratularsi: non con l’onorevole, non con il futuribile sindaco, semplicemente con Toni.
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