(di Antonella Gaeta, da la Repubblica di ieri 10 maggio 2018) A forma di cuore, «non quello dei disegni, ma quello umano, con le arterie, le vene» e, aggiungeremmo, i palpiti. Perché, nel centro storico di Mesagne, nella profondità scelta dagli antenati messapi per i loro cari, sono adagiate tombe sulle quali, di fatto, si cammina (e non solo) 2500 anni dopo. Forse i pensieri antichi sono come l’aria calda, salgono e si confondono con quelli attuali, sostanziano intuizioni, umori, propositi. O forse no, svaporano con le angustie dei secoli e, se qualcuno li smarrisce, basta scavare, per qualsiasi ragione, e si ritrovano tracce, rimanenze, segnali, imprevedibile appartenenza. A prendere il ritmo con noi della sua città, così stratificata e intrisa di archeologico sentire, è il trentenne clarinettista e sassofonista Pietro Rosato (a sinistra nella foto) che, invece di partire «come molti della mia generazione, ora al Nord, ora addirittura all’estero», è rimasto e con sua moglie ha aperto una scuola di musica. Non si è limitato a questo perché, insieme con altri consentanei e coetanei, ha fondato un giovane movimento di opinione politica che si chiama con una lettera soltanto, La M, un po’ monogramma di supereroe, «in realtà il nome di una linea, quella che da Mesagne portava a Brindisi e che, per noi adolescenti, era il segnale della crescita, della scoperta del mondo, dell’emancipazione possibile dal paese e, adesso, del paese». Che, soprattutto negli ultimi anni, è cresciuto, «basta venirci d’estate e ogni giorno, in qualche angolo, c’è un’iniziativa, un concerto, uno spettacolo». La passeggiata nel centro storico di Mesagne si fa da Porta a Porta, la Grande, la Nuova, tra Messapi e Barocco spoglio, molto meno fastoso di quello leccese, testimoniato dalle numerose chiese, come quella Madre, verticale, a tre ordini, finita in più di un film, La terra di Sergio Rubini su tutti (complice l’origine mesagnese di Fabio Marini, uno dei principali location manager pugliesi). Si misura il tempo con l’Orologio municipale, si attraversa il sito archeologico di vico Quercia (per l’insediamento di Muro Tenente, un oppidum messapico, bisogna, invece, allontanarsi dal centro e andare verso Latiano), si sfiorano frantoi ipogei, si solleva lo sguardo sull’ottocentesco Teatro Comunale, e si arriva all’imponente, turrito Castello Normanno Svevo, quasi interamente recuperato, dalle prigioni alla sommità, pronto a ospitare convegni, mostre come quella dedicata alla “Metà del Cielo” picassiano, attualmente in corso. Si è giunti, dunque, nella splendida piazza Orsini del Balzo, signori che qui hanno governato dal Trecento, mentre alla principessa Vittoria Capano si deve, nell’avanzato Seicento, la costruzione della Chiesa di Sant’Anna realizzata per la guarigione del figlio Carmine (per una visita guidata della città antica è possibile affidarsi a PromoCultura, info al numero 328.00.14.735). «E così arriviamo a una delle peculiarità che veniva attribuita a Mesagne, la città di mezzo tra Adriatico e Jonio, quello della salubrità. La peste, ad esempio, non la toccò con la violenza che usò contro gli altri centri intorno; qui si veniva a cercare rifugio e, ancora adesso, è così, si sta veramente bene», come, del resto, testimonia il numero di centenari che la abitano. Eppure Mesagne è giovane, «piena di entusiasmo, voglia di fare, ci rendiamo conto di essere nati e vivere in una specie di libro di storia che ci emoziona sempre, che sta in alcuni momenti di comunità come la processione dei Misteri, quando un silenzio irreale cala su piazze e strade affollatissime; che viene dispiegato sapientemente con il neonato Sum, il sistema urbano museale, ma che sta anche quotidianamente sotto i nostri piedi». Così, torniamo a quel cuore dei Messapi del principio, che batte – può capitare – anche sotto i tacchi vertiginosi delle drag queen nel pub Nedina: una lastra di vetro divide necropoli e danze, un meraviglioso accrocco che potrebbe stare in un film di Almodovar, uno qualsiasi, ma anche di Fellini, il Satyricon per esempio.
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