(di Gianmarco Di Napoli, direttore di il7 Magazine Brindisi) A colloquio con Angelo Rogoli e Angelo Cisternino, i nostri Angeli. Dopo il successo di Sanremo, il gruppo si racconta a il7 Magazine. Dagli esordi in un casolare tra Mesagne e Tuturano sino al palcoscenico dell’Ariston.
«Ciao cumpa’». Angelo Rogoli è quello dei Boomdabash alto e smilzo, il leader, la voce principale. Arriva in anticipo negli studi di Ciccio Riccio, da solo. «Ciao cumpa’» è per Gianluca Ziza, lo speaker che dovrà intervistare il gruppo rivelazione di Sanremo 2019. I Boomdabash frequentano gli studi di Ciccio Riccio da quando avevano i calzoni corti, ma stavolta è diverso, ora li inseguono i media nazionali, se li contendono le radio e i giornali. Ma niente. Non bodyguard, nessun ingresso trionfale. Arrivano
alla spicciolata: prima Rogoli (Biggie Bash), poi Angelo Cisternino (Blazon), i due fondatori del gruppo, entrambi mesagnesi. Mancano gli “stranieri” Paolo Pagano (Payà) di Trepuzzi e Fabio Clemente (Mr. Ketra) di Vasto. In compenso c’è il “quinto Beatles”, Gianpaolo Bellanova, anche lui mesagnese: non suona, non canta, ma è l’anima invisibile e insostituibile del gruppo e dopo capiremo perché. C’è quella foto, voi davanti all’Ariston prima del Festival. Sulla vostra pagina avete scritto «Salento-Sanremo, una strada lunga 1200 km. Ci abbiamo messo 15 anni per percorrerla ed arrivare a destinazione ». Sembravate ragazzini in gita che si fanno il selfie-ricordo. E invece la sera dopo dovevate salire sul palco, dentro quel teatro.
(Angelo Rogoli) «Ci sentivamo davvero così. Per noi era tutto di un’altra dimensione, quasi non ci rendevamo conto. E poi quel giorno appena arrivati, non ci riconosceva quasi nessuno. Ci muovevamo per strada liberamente, ma questo è durato solo 24 ore». Perché poi avete cantato la prima volta e avete spaccato. «Sì, ti rendi conto che c’è un prima e un dopo Sanremo. Abbiamo suonato dal vivo anche davanti a 30 mila persone, ma quando ti trovi là sopra ti rendi conto che hai di fronte 12 milioni di spettatori. Dopo quel momento non ci saremmo potuti mai più fare quella foto da soli, tranquillamente, con lo sfondo dell’Ariston. La prima sera siamo andati a
cena nel ristorante frequentato dai cantanti, ma non ci siamo più tornati. Troppi fotografi, troppa gente. Non siamo abituati. All’inizio ci guardavano con una certa sufficienza, anche gli addetti ai lavori, il personale dell’Ariston. Poi dopo che abbiamo cantato è cambiato tutto, anche perché la nostra canzone nella prima serata era al terzo posto della classifica popolare, non eravamo più un oggetto misterioso. L’Ariston è un piccolo teatro, hanno costruito quattro piani di camerini piccolissimi, e anche il palco è stretto. Il nostro teatro Verdi, per intenderci, è molto meglio. Ma quando sei lì sopra, lo avverti il peso, è una sensazione diversa da tutte le altre».
Come avete vissuto le ore precedenti all’esordio? (Interviene Angelo Cisternino, ridendo e indicando Rogoli) «La nostra esibizione era prevista per le 23, lui alle 21.15 cantava nell’armadio. Ma veramente cantava nell’armadio». (Rogoli) «Io seguivo i consigli della mia vocal coach Miriam Mariano che mi ha veramente aiutato, non solo a livello tecnico, ma soprattutto a livello mentale, ad affrontare la sfida più difficile di questi quindici anni. Ci sentivamo sempre, ogni sera prima dell’esibizione e anche dopo, mi indicava se c’erano state delle sbavature, mi consigliava su come defatigarmi o riscaldarmi. Il nostro brano iniziava subito con una nota molto alta e bisognava arrivare pronti sul palco, non si poteva assolutamente sbagliare».
Superata l’emozione della prima sera, è stato tutto più semplice? «Dopo la prima sera ci siamo detti, ok è andata. In realtà cosa succede: vai a ricantare la seconda sera e pensi ‘spero di non rovinare quello che ho fatto la prima sera’. Alla serata dell’ospite pensi ‘spero di non far fare brutta figura all’ospite’. In quella finale dici ‘spero di non fare figuracce per non rovinare tutto quello che ho fatto fino ad ora’. Quindi un’ansia continua, poi ci siamo sciolti sul palco. Al momento del duetto si è visto quando Rocco Hunt e Paolo (Pagano, ndr), senza aver preparato nulla sono partiti in mezzo al pubblico e hanno improvvisato».
In un Festival in cui ci sono state tante polemiche, troppi musi lunghi, in un periodo in cui sembra una moda apparire tristi, scontenti, incazzati, voi avete portato una
ventata di allegria, non solo con la vostra musica ma soprattutto con il vostro modo di essere. «Tra gli artisti negli ultimi tempi c’è questa tristezza dilagante, sembra che faccia figo essere tristi. Qualche tempo fa scrissi una cosa sul nostro profilo Facebook: quando vedi che le persone che avrebbero davvero motivo di essere tristi e invece trovano la forza di prendere a morsi la felicità, capisci che essere felici è una cosa bella. Noi abbiamo voluto portare anche a Sanremo questa nostra voglia di essere aggrappati alla felicità, alle cose belle e positive, anche con il nostro brano e poi con il nostro modo di essere allegri che abbiamo portato sul palco».
Parallelamente al vostro percorso musicale, sin dall’inizio avete scelto di essere presenti accanto a chi è meno fortunato e soprattutto a chi soffre: sostenete, tra l’altro,
la clown terapy nel reparto di Pediatria del Perrino e l’associazione Donatori Midollo osseo, vi affacciate nella case-famiglia. Ma un’esperienza tosta deve essere stata forse
quella del video realizzato nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce. (Angelo Cisternino) «Quella è stata un’esperienza che ci ha toccato profondamente. Abbiamo girato il video di “Un attimo” con alcuni detenuti con cui abbiamo lavorato fianco a fianco. Entrando in carcere si capisce davvero cosa sia la sofferenza, penso che sarebbe utile portare gli adolescenti. Ci è capitato di vedere anche la sezione femminile con i bambini piccoli che giocano in un piccolissimo parco giochi o nei corridoi del carcere»
(Interviene Rogoli) «Mi è capitato di parlare con un ragazzo della mia età che doveva scontare ancora trent’anni di galera. Quando me l’ha raccontato non sapevo cosa dirgli per rincuorarlo, ero paralizzato sapendo che io quella sera sarei tornato a casa e lui sarebbe rimasto lì dentro per tutto quel tempo». E il tema del carcere lo avete ripreso poi nel video che accompagna il vostro brano di Sanremo, tanto che il ministero di Giustizia ha condiviso sulla sua pagina Facebook quella scena. «Sì, il senso è quello dell’attesa e non si aspetta solo alla stazione ferroviaria o negli androni della scuole. C’è anche il piazzale davanti al portone del carcere, in questo caso quello di Milano San Vittore. E ad aspettare c’è una coppia matura che abbraccia il figlio all’uscita dal carcere con la stessa emozione espressa da altri protagonisti del video, giovani
genitori che aspettano i figli all’uscita di scuola o al termine di una lezione di danza».
Parliamo di cose più allegre. Il vostro look, all’inizio sembrava eccentrico, troppo vistoso ma poi ha conquistato tutti ed è stato parte del successo. (Angelo Cisternino) «Abbiamo chiesto a Dolce e Gabbana se fossero disposti a sostenere il nostro progetto. Domenico Dolce è stato entusiasta, è stato lui stesso a prenderci le misure a Milano e a cucirci addosso gli abiti. Si tratta di una persona di grande semplicità. Gli abbiamo chiesto dei costumi che in qualche modo portassero il segno della nostra terra, del Salento. E lui ha pensato di cucirci sul petto un ulivo. Quattro vestiti diversi, uno per ogni sera, 16 in tutto. E dobbiamo dire che il primo a pubblicare una recensione positiva è stato il wedding planner Enzo Miccio, uno che abitualmente stronca quasi tutti, anche a Sanremo».
Un’altra cosa bella, anzi “bellissima”: Loredana Bertè, regina del Festival ma tornata grande dopo anni di buio grazie a “Non ti dico no”, il singolo che ha inciso con voi e che è stata la canzone più ballata dell’estate 2018. (Angelo Cisternino) «In realtà quella canzone l’abbiamo registrata nell’agosto 2017, ma l’estate era già finita e sarebbe stato un peccato lanciarla in autunno. Così è rimasta nel cassetto per quasi un anno, ma alla fine ne è valsa la pena». Vi siete sentiti con lei durante il Festival? «Sì quasi ogni sera al telefono. E’ nata tra noi una splendida amicizia. Loredana è un’artista eccezionale e questo legame ci rende orgogliosi. Pensa che per la serata dei duetti lei era convinta di poter cantare il suo brano insieme a noi. Le abbiamo detto: guarda, Loredana, che forse in questo Festival siamo avversari. E’ finita con un sacco di risate. Nei mesi trascorsi a promuovere “Non ti dico no” ci ha raccontato tantissimi aneddoti della sua vita incredibile. Quando era la moglie di Bjorn Borg si trasferì con lui alla Casa Bianca dove dava lezioni di tennis ai figli di Bush senior. E raccontava di una cena cui furono invitati e alla quale parteciparono il presidente americano e Bin Laden che a quel tempo era in ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Loredana per noi è un monumento: è stata la prima a portare la musica reggae in Italia, in anticipo anche rispetto a Bob Marley, con “E la luna bussò”. Ora il reggae è la nostra musica, la nostra bandiera». A iniziare dal nome: “Boomdabash”, nello slang giamacaino significa “esplodi il colpo”.
Nella foto a sinistra con il questore di Brindisi, Maurizio Masciopinto. Ora è il momento di scoprire il volto dei Boomdabash che non appare mai, il “quinto Beatles”, quello che fa tutto il resto. Gianpaolo Bellanova è il direttore di produzione della Soulmatical, l’etichetta discografica indipendente del gruppo, organizza gli eventi, mantiene i contatti con i media, gestisce le pagine social e soprattutto affianca i quattro ragazzi in tutte le fasi, dall’inizio della loro carriera. «No, non suono, non so cantare e non ci ho mai provato”, chiarisce subito. «Cerco di organizzare tutto in maniera meticolosa e a volte divento anche il supporto morale dei ragazzi. Ovviamente dopo Sanremo l’impegno è ancora più intenso perché i Boomdabash ora sono ricercatissimi e io devo necessariamente fare da filtro. L’obiettivo più importante che abbiamo al momento è il concerto all’Alcatraz di Milano in programma il 9 maggio prossimo. Sarà un evento dei “Boomdabash and friends” per festeggiare i 15 anni di vita del gruppo».
Quindici anni iniziati in un casolare di campagna tra Mesagne e Tuturano che fu la prima sala-prove e d’incisione. «Il nostro primo brano si chiamava Uno e una notte i ladri portarono via tutto: i dischi, i master, la strumentazione». Undici anni fa il primo concerto: «Era il 2008 e ci esibimmo in Villa Cavaliere, un centro di riabilitazione di Mesagne. Spettatori 200, quasi tutti ospiti della struttura. Ma non abbiamo mai più smesso di portare la nostra musica in quei posti: la consideriamo una specie di missione. Poi tante feste private, scolastiche, i Bams (Brindisi Arte Musica Spettacolo, ndr), storico quello in piazza Santa Teresa, a Brindisi nel maggio 2009, esattamente dieci anni fa. Nel frattempo la “casa” fu spostata nel più tranquillo centro storico di Mesagne, al primo piano del Lab Creation dove si trova tuttora la sala di registrazione. Ed è il rifugio, la tana».
«Vogliamo che la nostra esperienza sia da esempio per le nuove generazioni: nella vita un’altra strada è sempre possibile, anche quando sembra non ci sia un bivio»
Cisternino, tu hai scelto di continuare a lavorare alla Avio di Brindisi, anche adesso che il successo vi porta spesso in giro per l’Italia e d’ora in avanti molto più di prima. «Sì, sono passato dal contratto full time a quello part-time perché non posso più essere presente come un tempo ma rimanere è stata una precisa scelta di vita: per scrivere le canzoni, per interpretare i sentimenti della gente è necessario rimanerci in contatto. Le emozioni dei miei colleghi, le loro voci, i loro sorrisi, ma anche le ansie e i timori sono un bagaglio imprescindibile per rimanere agganciati alla realtà, il più possibile». In tutti questi anni però la vostra vera etichetta è rimasta l’umiltà. (Angelo Rogoli) «Il messaggio che i Boomdabash hanno sempre cercato di trasmettere è che la loro esperienza sia da esempio per le nuove generazioni. Nella vita un’altra strada è sempre possibile, nel senso che anche quando sembra che non ci sia un bivio te lo puoi creare tu. Vogliamo che la nostra storia sia una bandiera, per partire o ripartire con un altro step, senza dimenticare il valore della nostra terra, della nostra gente, di Mesagne e del Salento». Lo avete fatto capire anche in sala stampa all’Ariston. «Sì, quando un giornalista ci ha fatto notare che il nostro brano era nella zona rossa della classifica, quella non esattamente vicina ai primi posti, in maniera per altro immeritata, visti anche i fischi che erano partiti dalla platea, gli abbiamo detto: guardi, nella zona rossa noi ci siamo nati, ma non in quella della musica. Siamo nati nella zona rossa della vita. E da quella non ci sono televoti o giornalisti che ti salvano. O ti tiri fuori da solo, o ci rimani per sempre».
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