Fabio Pignataro (nella foto), mesagnese di 36 anni rinchiuso nel carcere di Rossano Calabro dove deve scontare una pena sino al 2025, ha fatto pervenire in redazione una lettera per smentire le voci che lo volevano collaboratore di giustizia. Nelle scorse settimane Fabio ha tentato di togliersi la vita. Uno sgabello, un cappio rudimentale nella sua cella di isolamento del carcere di Siano (Catanzaro) e addio. Il caso ha voluto che proprio in quel momento i sanitari del penitenziario calabrese stavano passando per somministrargli la terapia che gli era stata prescritta per aiutarlo a risollevarsi dal suo stato psicofisico in cui era caduto da quando, su richiesta del consiglio di disciplina del penitenziario, era stato emesso nei suoi confronti l’articolo 14 bis, il regime di sorveglianza particolare.
La decisione di togliersi la vita la stava maturando da quando era stato pestato a sangue dalle guardie penitenziarie dopo la tentata evasione dal carcere di Rossano Calabro. In precedenza era evaso dal carcere di Bellizzi Irpinia (Avellino). Fu ripreso dopo quattro giorni e trasferito a Rossano.
Fabio aveva deciso di impiccarsi in cella nel primo pomeriggio del 20 ottobre. Per fortuna non riuscì a concretizzare quel folle gesto altrimenti oggi staremmo a parlare di un altro caso Cucchi. Avrebbe scritto questa sua ultima lettera e poi l’avrebbe fatta finita.
Del caso del detenuto mesagnese si è interessato l’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri che aveva chiesto all’Amministrazione Penitenziaria e alla Magistratura di Sorveglianza di intervenire per valutare la sospensione regime di sorveglianza particolare per prevenire ulteriori atti autolesionistici o suicidi.
Nei giorni scorsi la lettera ci è stata consegnata personalmente dalla moglie Anna. “Mi ha detto che sentiva una voce che lo chiamava – racconta -. Non si reggeva più in piedi. Mi ha fatto una brutta impressione. Non ricordava niente nel suo stato di depressione”. L’ultima volta si sono visti giovedì 30 ottobre. In precedenza era andato a trovarlo il 19 luglio perché voleva sapere dalla sua viva voce se rispondeva al vero la notizia che aveva deciso di diventare collaboratore di giustizia. “Del tentativo di suicidio di mio marito sono stata l’ultima ad essere informata. Fabio tentò di suicidarsi il lunedì ed io lo seppi solo il venerdì. Le sembra giusto? La notizia del suo presunto pentimento ci ha cambiato la vita. Neppure io sto bene. Non è giusto mettere in giro voci false”.
Ed ecco la lettera. “Sono e mi chiamo Fabio Pignataro. Sono venuto a conoscenza che è stato pubblicato su un giornale on line brindisino la notizia che io mi sarei pentito e che sarei diventato collaboratore di giustizia. Niente di più falso. Non sono un collaboratore di giustizia ne tanto meno un dichiarante. Sono detenuto per rapina e per un cavallo di ritorno di un’auto e di un camper e altri furti. Nel 1995 ero tossicodipendente. Attualmente mi sto curando con antidepressivi. I verbali che avrei sottoscritto non sono miei e lo si vede bene dalla firma che non è la mia. Tale storia non mi appartiene e non mi riguarda. Sto scontando la mia giusta o non giusta detenzione sino al 2025 ed ho già fatto 15 anni di carcere. Preferisco la morte per non mettere in mezzo persone innocenti”. E continua: “Ho fuori una famiglia e ci tengo alla loro vita. Io smentisco ogni accusa, ognuno può pensarla come vuole. Hanno scritto che mia moglie sarebbe andata dai carabinieri con una mia lettera. Tutto falso. Vi prego di pubblicare questa mia lettera di smentita. Non è giusto infamare in questo modo le persone. Non ho mai pensato di diventare collaboratore di giustizia o dichiarante. Nella mia vita ho sbagliato ed è giusto che paghi. Quanto è stato scritto sono solo falsità e menzogne”.
Grazie. Mi sento. Di aver detto la verità … Spero solo che si. Riprenda dallo stato depressivo in cui si trova.