Mancava solo l’ufficialità. Ma, radio-carcere, da almeno due mesi, aveva diramato la notizia che Giovanni Cosimo Guarini, alias Maradona, si era pentito ed aveva deciso di diventare collaboratore di giustizia. Dal carcere i pizzini dei capi volano: su uno di essi era stato impartito l’ordine di intimorire la famiglia di Maradona per dissuaderlo dalla sua decisione di raccontare al giudice Motta i retroscena di alcuni inquietanti episodi di criminalità ancora irrisolti. L’altro ieri, sia pure indirettamente, l’ufficialità: la signora Vittoria, moglie di Guarini, è scomparsa da via Bondello assieme ai tre bambini ed è stata trasferita in una località protetta. Dopo l’ultimo inquietante avvertimento, non si poteva più rischiare: una rudimentale bomba pronta per esplodere è stata lasciata nei giorni scorsi sul terrazzo dell’abitazione di via Bondello. A questo punto è stata presa la decisione di mettere al sicuro moglie e bambini che vivevano assieme alla mamma di Guarini. Ed è quindi confermata l’ipotesi che avevamo avanzato due mesi fa: gli attentati, quattro per la precisione, oltre a numerose telefonate e lettere anonime, avevano un mittente: la criminalità organizzata, le frange libere della Sacra Corona Unita che prende ordini e disposizioni dal carcere. Le disposizioni, ultimamente, oltre a continuare a chiedere sostegno finanziario a imprenditori e commercianti, erano quelli di intimorire la famiglia nella speranza che far recedere Maradona dalla decisione di diventare un collaboratore di giustizia. Minacce che, evidentemente, non hanno sortito alcun effetto in quanto Maradona ha deciso di cambiare strada.
Gli avvertimenti erano iniziati lo scorso giugno. All’ipotesi da noi avanzata, la signora Vittoria si infuriò: “Mio marito – disse – non è tipo che si pente perché non ha nulla di cui pentirsi. E’ in galera per un reato che non ha mai commesso”. Invece i due colpi di pistola sparati nella notte tra il 6 e 7 giugno in via Bandello proprio nei pressi della sua abitazione non erano frutto di fantasia popolare. “Mio marito – aggiunse la signora Vittoria – sarà sicuramente scagionato dall’infame accusa di aver partecipato all’omicidio Salati. Al processo, che mi auguro si celebri quanto prima, verrà fuori la sua innocenza”. I colpi di arma da fuoco non erano frutto di fantasia: erano stati sentiti da tutti i residenti di via Bondello, anche se gli agenti della polizia di Stato del locale commissariato prontamente intervenuti sul posto non trovarono tracce. Poi gli stessi familiari del Guarini confermarono di aver sentito dei passi sul terrazzo dove nei giorni scorsi, mentre erano al mare, qualcuno ha piazzato la rudimentale bomba.
Un altro avvertimento in piena regola il 23 giugno scorso. Durante la notte tra il sabato e la domenica, due colpi di fucile calibro 12 mandarono in frantumi i finestrini della Fiat Multipla di proprietà della madre di Guarini. L’auto era parcheggiata sul marciapiede, in via Bondello, proprio dinanzi all’ingresso dell’abitazione. Quella volte intervennero i carabinieri che trovarono sul posto le cartucce del fucile dal quale erano stati esplosi i colpi. Sull’inquietante episodio iniziò ad indagare anche la Direzione distrettuale antimafia di Lecce.
Poi l’ordigno posizionato sull’abitazione per il quale sono intervenuti sul posto assieme agli agenti di polizia del commissariato di Mesagne anche gli artificieri di Brindisi.
Questi gli episodi noti. La sconcertante scoperta ha indotto gli inquirenti del commissariato di Mesagne, con a capo la dirigente Sabrina Manzone, a chiedere ed ottenere di trasferire in località protetta per motivi di sicurezza la compagna di Maradona.
Cosimo Giovanni Guarini, si ricorderà, era finito in carcere nel gennaio scorso assieme a Francesco Gravina detto “Gabibbo” e Vito Stano, perché accusati di aver ucciso il 17 giugno 2009 Giancarlo Salati, mesagnese, 62 anni. Un omicidio che fece scalpore in quanto eseguito nel primo pomeriggio, nel centro storico, in via Mauro Capodieci. Menzarecchia, questo il soprannome di Salati, fu picchiato barbaramente con una spranga di ferro: 16 colpi, quelli accertati dal medico legale, che lo ridussero in fin di vita. Morì dopo un giorno di agonia all’ospedale Perrino di Brindisi. Alla figlia che corse a soccorrerlo, disse con un filo di voce che si era fatto male cadendo dalle scale.
Guarini, Stano e Gravina, insieme a Massimo Pasimeni alias “Piccolo dente”, già in carcere, furono raggiunti da ordinanze di custodia cautelare a seguito delle dichiarazioni del pentito Ercole Penna.