(di Angelo Guarini*) In Italia, purtroppo, da molti anni registriamo poca musica dal vivo, soprattutto se ci confrontiamo con quanto accade in tantissimi altri Paesi.
Personalmente, sia per motivi di lavoro che turistici, sono stato in numerosi Paesi e posso testimoniare che sulla musica dal vivo il confronto è impari. Mi riferisco a Stati Uniti, Canada, Messico, Francia, Spagna, Belgio, Gran Bretagna, Malta, Austria, Svezia, Olanda, Grecia, Tunisia, Egitto… e così via.
In particolare, negli Stati Uniti vorrei citare New York, Seattle, Miami, Los Angeles e Nashville, città dove c’è un fervore musicale da capogiro: a New York, in zone come Greenwich Village e Manhattan, vi sono numerosi locali specializzati in diversi generi musicali (tutti con musica esclusivamente live), dal pop al jazz, blues, rock, reggae, ecc.
A Nashville – una vera e propria città della musica, dove è ancora vivo il mito di Elvis Presley – in tutti i locali pubblici, tipo bar, pub e ristoranti, c’è una pedana attrezzata con la strumentazione di base per concerti dal vivo, in cui si registrano continue esibizioni, finanziate da contributi volontari degli spettatori, di gruppi musicali per un’ora a testa.
A Seattle, in occasione di un meeting di lavoro organizzato alcuni anni fa da Boeing, colleghi statunitensi mi hanno accompagnato in un’area musicale della città, dove, all’ingresso di due strade perpendicolari, versando un ticket modesto (all’epoca 20 dollari), si acquisiva il diritto di entrare liberamente nelle decine di locali specializzati in vari generi, in cui era possibile ascoltare eccellenti musicisti. Un particolare organizzativo: a mezzanotte e mezza la polizia verificava rigorosamente il rispetto dei limiti di orario da parte di tutti i locali.
A questo punto chiediamoci: come mai in Italia, soprattutto nei locali di dimensioni medio-piccole, la musica dal vivo è così poco presente?
Come mai prevale la musica “in scatola”(cioè registrata)sulla musica fresca e spontanea, come è solo la musica live, che è in fondo quella preferita da tutti, giovani e meno giovani? Purtroppo a sfavore di quest’ultima incidono negativamente sia la lentezza degli aspetti autorizzativi che i costi fiscali e di riconoscimento dei diritti editoriali, che probabilmente altrove sono molto esigui o addirittura simbolici.
Occorrerebbe, pertanto, adottare opportuni incentivi e prevedere, ad esempio, una drastica riduzione del carico fiscale o addirittura la totale defiscalizzazione.
I benefici socio-economici, come contropartita di questa politica a favore della musica dal vivo, sarebbero notevoli: – crescita e formazione di nuovi talenti musicali (che per esprimere e perfezionare le proprie qualità hanno di solito bisogno di fare “gavetta”); -aumento delle iscrizioni alle scuole di musica pubbliche e private e conseguente sviluppo delle stesse; – sviluppo dei locali esistenti o apertura di nuovi, con riflessi occupazionali interessanti; – crescita dell’industria degli strumenti musicali e della distribuzione degli stessi. È evidente, infatti, che l’aumento delle esibizioni dal vivo, comporterebbe anche la crescita del bisogno di avere adeguati strumenti musicali.
Purtroppo l’industria italiana degli strumenti musicali ha avuto negli anni 70, 80 e 90 un forte declino, in molti casi con la chiusura ed in altri con forte ridimensionamento di molte aziende prestigiose, tipo Farfisa, EKO, Binson, Meazzi, Crucianelli, GRS, Lem, Davoli e SEMPRINI.
Tuttavia da alcuni anni tale industria registra segnali incoraggianti di ripresa: l’ultimo censimento fatto da DISMAMUSICA nel 2022 annovera 1.033 imprese produttrici con circa 2.048 addetti, mentre le aziende del commercio al dettaglio sono 824 con circa 2.000 addetti. Da notare ancora che per la categoria design strumenti musicali l’Italia è al primo posto nel mondo! Come dire, abbiamo chances da giocare ed ottime potenzialità di crescita, soprattutto qualora la musica dal vivo avesse maggiore diffusione.
Solitamente abbiniamo la parola “musica” a hobby, divertimento o passatempo. Ma è opportuno sottolineare che il settore musicale produce anche sviluppo economico, in quanto genera indotto e livelli occupazionali importanti. Purtroppo non esistono in proposito statistiche o studi periodicamente aggiornati: l’ultimo – il Rapporto Italia Creativa, realizzato da Ernst & Young e da Siae – risale al 2017 ed ha censito poco meno di 170.000 addetti tra artisti, tecnici occupati in attività concertistiche, lavoratori della discografia e lavoratori indiretti vari, tipo discoteche, sale da ballo, vendita di supporti audiovisivi e così via.
Nel più ampio settore culturale e creativo (che secondo il rapporto “Io sono cultura” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, ha realizzato nel 2022 un valore aggiunto di ben 271,9 miliardi di euro, con circa un milione e mezzo di addetti), il settore musica è, secondo molti esperti, quello con maggiori margini di crescita.
Mi piace in proposito evidenziare questo dato emblematico : l’Italia è all’undicesimo posto nel mercato mondiale della discografia, con un fatturato nel 2022 di 370 milioni e 4.500 addetti, con i quali si interfacciano 67.000 tra artisti ed autori.
Va, quindi, promosso (e mi auguro che a ciò possa contribuire questo articolo)un ampio ed approfondito dibattito su come favorire lo sviluppo della musica dal vivo, con idee, proposte ed iniziative concrete a 360 gradi.
Alcune considerazioni conclusive : la musica, oltre ad avere contenuti socio-economici di tutto rispetto, è anche un forte stimolo a sviluppare creatività, innovazione, fantasia, sentimenti e, quindi, anche anti-conformismo, soprattutto tra i giovani. Sono, questi, veri e propri anticorpi -di cui percepisco un grande bisogno- per arginare l’attuale diffusione, molto negativa, di conformismo e di mediocrità, come sostiene (e credo purtroppo con fondate motivazioni) il filosofo canadese Alain Deneault, autore del libro “La MEDIOCRAZIA”.
*Direttore Confindustria Brindisi