L’auditorium dell’associazione Giuseppe Di Vittorio di Mesagne è pieno già prima delle ore diciotto di sabato dodici dicembre. E’ risaputo quanto Ermes De Mauro tenga alla puntualità, per nessuna mania personale ma per l’intimo e infondato timore di rubare il tempo a quanti accorrono alle iniziative culturali in cui, senza pretese e sforzo, assurge ad unico protagonista. Introduce al tema il presidente dell’associazione, Cosimo Faggiano; la convincente voce della lettura è quella di Mario Cutrì. L’associazione prosegue con una serata dedicata all’attualità di Dante Alighieri gli appuntamenti a tema, per non perdere di vista quanto di cultura sia utile vivere, per non arretrare sul fronte della continua battaglia per il riscatto civile e morale di una comunità. Il decimo canto dell’Inferno dantesco spiegato dal professore è un viaggio senza tempo e senza confini. Non viene data nessuna priorità alle letture critiche, l’arduo obiettivo è quello di far sì che tutti possano comprendere Dante, in particolare i giovani. Con Farinata degli Uberti la Divina Commedia apre alla politica e alla storia di una città vera. Il tema è quello che continua ad attraversare l’educazione civile nella cultura italiana: la lotta per il potere e l’uso che la politica vincitrice ne fa ai danni del partito sconfitto. In questo canto, prende forma e descrizione il percorso di un esperimento politico italiano lacerante quanto longevo che è quello della stigmatizzazione del dissenso. Ermes De Mauro esplicita in modo accessibile ai più ciò che Erich Auerbach descrisse come un canto che è «una condensazione d’avvenimenti» e di azioni senza precedenti, per un trionfo di realismo. Dante si distoglie volutamente dalla figura di Farinata solo per abbacinare l’altro eretico padre dell’amico e poeta Guido, Cavalcante de’ Cavalcanti, tentennando su una risposta che a causa dell’uso di un verbo al passato getta nello sconforto il genitore. La figura di Farinata introduce un’analogia esplicita tra la condizione del dannato e la sventura dell’esilio. Dante che scrive è un esule che parla all’Italia e alla Chiesa e che ha provato “sì quanto sa di sale
lo pane altrui”, avendo conosciuto l’angoscia e l’umiliazione di tale condizione. Al vinto Farinata Dante restituisce con la poetica la giustizia che merita, quella che Firenze negò ad entrambi, rendendolo un fiero eroe che nella sua arca rovente si siede ma non si piega. Lo stesso ideale li accomuna e annienta la divisione derivante dall’appartenenza a fazioni avverse: il profondo e sincero amore per Firenze; ed è in ragione di ciò che Dante si ferma con riverenza dinanzi al suo avversario politico, facendo splendere più di tutto la sua dignitosa grandezza piuttosto che le divisioni. Il professor De Mauro continua a preoccuparsi di questo, di come tanto racconto di passione civile e forza morale venga insegnato nella scuola italiana.