Qui a Mesagne siamo stati nel tritacarne mediatico fino all’osso, ora tutto si va attenuando e presto si spegnerà. E’ la procedura prevista da chi vuole raccontare senza far capire. Insegnante da vent’anni in quell’istituto e pro-tempore vicesindaco di Mesagne sono stato il boccone ricercato dalla macchina dell’informazione per arrivare quanto più vicino possibile al dolore. Mi sono sottratto. Perché quel dolore per me non è impersonale, ha il nome della vita spezzata di Melissa, del dolore inguaribile dei suoi genitori, dei corpi segnati di Veronica, Sabrina, Azzurra, Selena e Vanessa. Un dolore che va protetto e che si reitera in tutta la sua forza dirompente quando vado a trovarle in ospedale e di quei corpi scorgo solo le fessure degli occhi e nei genitori la paura di ciò che è accaduto non trova spazio perché c’è forte la trepidazione di ciò che ancora può accadere per la riservatezza delle prognosi di guarigione. Famiglie, quasi tutte, segnate già da una esistenza sociale ed economica difficilissima che dovranno affrontare, per la peculiarità delle ferite, percorsi lunghissimi e costosissimi non solo umanamente.
Gli studenti dei professionali, le ragazze di quel professionale sono così nella gran parte. Molte le frequentano per completare l’obbligo, altre per una difficile occasione di riscatto, alcune per assecondare una vocazione solidale visto la specializzazione nel campo sociale. Dopo la messa la salma di Melissa fu portata al cimitero e la folla, fin lì eterogenea, si dissolse per lasciare spazio ad una processione ininterrotta di un ceto sociale omogeneo nella sua precarietà di vita, di una marea di senza-lavoro e senza casa. Il ceto sociale prevalente nei professionali i cui figli hanno già conosciuto la difficoltà della vita, dello sfratto, dell’assenza di lavoro, del papà in carcere. E ti chiedi “perché” hanno colpito qui? Non soltanto “chi” ma perché i giovani e tra i giovani i più poveri?
Per dare una risposta attenderemo le indagini, augurandoci che superino la fase iniziale di confusione quasi sconcertante. Ma quando le indagini approderanno a qualcosa vorrei tanto che non si realizzasse una implicita graduatoria di gravità dell’evento, una gerarchia del dramma che scolorisce se è un folle e diventa importante solo se evento mafioso o stragista. Sarebbe difficile da spiegare ai genitori di Melissa, alle ragazze ferite, ai tanti giovani testimoni diretti e indiretti di un episodio mai avvenuto nella storia d’Italia: un attentato a una scuola!
Un episodio che per la sua inedita gravità contiene già il male oscuro di questa società che rende possibile ciò che appare inimmaginabile: la legittimazione della violenza. La violenza si annida in questa società malata perché è utilizzata ad ogni livello, personale e collettivo, privato e pubblico, legale e illegale, in televisione e dentro casa, dalla “casta” e dai “no-global”, dalla polizia e dalla criminalità. Ed una marea di questa infinita violenza è politicamente legittimata e spesso impunita. Perché è il sistema. E’ di ieri la notizia che un uomo ed un sindaco meraviglioso gira con la pistola per difendersi. Ovviamente presupponendo che quella pistola debba sparare, ferire e forse uccidere. O, per restare al tritacarne mediatico qui a Brindisi, giornalisti famosissimi che sbattono il mostro in prima pagina aprendo una feroce caccia all’uomo storpio e assassino.
E’ questa patologia che va curata perché è facile immaginare che ogni mente, individuale o associata, cerchi di concepire qualcosa che superi uno standard di violenza elevatissimo che questa società produce. Fino alla giustizia sommaria. Tra le tante cose che mi fanno impressione in queste ore sono le tantissime interviste a esponenti della SCU che annunciano alla società civile prostrata e confusa che non fanno queste cose ed anzi si stanno organizzando per fare giustizia a modo loro: “lo metteremo vivo in una colata di cemento”. Raccogliendo un silenzioso, tacito consenso dei tanti che vorrebbero che finisse davvero così.